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L’olio di palma è sempre più presente nella dieta dei bambini, limitandone il consumo proteggiamo la loro salute e salviamo l’ambiente leggi l’articolo di Nicola Nosengo
l Fatto Alimentare, testata web che in Italia è una delle voci di riferimento sui temi della sicurezza alimentare, è andato decisamente oltre. Dal 20 novembre scorso promuove una petizione online contro l’olio di palma basata su unabbondante dossier di accuse.
L’olio in questione (in realtà solido a temperatura ambiente, quindi più simile a un burro) è un grasso saturo, quindi più dannoso per l’organismo rispetto ai grassi insaturi come l’olio d’oliva. Il fatto che sia così pervasivo rende possibile mangiarne grandi quantità senza nemmeno accorgersene, senza contare che fino allo scorso anno non c’era nemmeno l’obbligo di indicarlo in etichetta (lo si trovava nascosto dietro la dizione “oli vegetali”). Soprattutto, le piantagioni di palma da olio sorgono in gran parte su terreni “accaparrati” con il land grabbing e negli ultimi anni migliaia di ettari di foreste tropicali sono state abbattute per far loro posto.
Per questo la petizione del Fatto (che ha raccolto finora 112.000 firme) chiede che i prodotti contenenti olio di palma siano esclusi dalle mense scolastiche, ospedaliere e aziendali, che le grandi catene di distribuzione smettano di usarlo nei prodotti venduti con i loro marchi, e che le industrie agroalimentari italiane si impegnino a non usarlo in tutto quanto è “made in Italy”.
Tutti d’accordo? Beh, quasi tutti. L’industria alimentare non ha intenzione di rinunciare così facilmente a un ingrediente che ama molto, perché costa poco (molto meno di olio d’oliva e burro) e svolge molto bene la sua funzione, cioè mantenere a lungo consistenza e fragranza agli alimenti, in particolare i prodotti dolciari: merendine, biscotti, creme spalmabili. Barilla, per esempio, ha risposto alla campagna anti olio di palma con queste precisazioni.
Qualche dubbio se lo fa (e ce lo fa) venire sul Corriere della Sera del 3 aprile anche Anna Meldolesi, chiedendosi se davvero il boicottaggio sia una buona idea. O meglio, se in fatto di alimentazione qualunque boicottaggio sia una buona idea.
Sulla questione ambientale, Meldolesi ricorda anche che da quando è iniziata la campagna anti-olio di palma molte grandi aziende si sono convertite a una certificazione di sostenibilità che dovrebbe assicurare quanto meno la provenienza da piantagioni rispettose dell’ambiente e dei diritti dei coltivatori (al Fatto Alimentare non ci credono molto, però: la petizione dice che questa certificazione “copre solo una quota minima della produzione, senza neppure mitigare i problemi denunciati“).
Quanto ai problemi di salute, Meldolesi ricorda che il boom dell’olio di palma è iniziato proprio a causa del “boicottaggio”, più o meno esplicito, di altri grassi usati in precedenza, e che sui reali effetti sulla salute la letteratura scientifica non è poi così chiara.
Per ragioni di salute prima abbiamo cercato di ridurre il consumo di burro, poi di bandire i grassi trans. Quindi la lettera scarlatta sull’olio di soia, inviso perché Ogm, ha contribuito alla fortuna della palma da olio. La nuova “cash crop” ha un profilo lipidico più saturo e dunque meno sano rispetto agli altri oli vegetali, sostiene un’affermata scuola di pensiero. Peccato che la meta-analisi pubblicata nel 2014 da Elena Fattore dell’Istituto Mario Negri sull’American Journal of Clinical Nutrition non abbia trovato la pistola fumante. Chi consuma olio di palma non sembra correre un rischio cardiovascolare maggiore degli altri.
“Sicuri di voler boicottare?” si chiede Meldolesi, suggerendo che demonizzare un singolo alimento esponga sempre al rischio di cadere dalla padella nella brace, o perlomeno in un’altra padella non necessariamente migliore della prima.
Comunque la si pensi sull’efficacia di un boicottaggio, non c’è dubbio che per chi vuole prendersela con l’olio di palma gli argomenti ambientali sono molto più solidi di quelli salutistici. Questo ingrediente non è certo il migliore dei grassi ma nemmeno il peggiore, e qualunque nutrizionista vi dirà che il consumo di grassi va sempre limitato, non importa di che grasso si tratti. Sostituire l’olio di palma con il burro non sarebbe una buona scusa per abbuffarsi impunemente di merendine, per dire.
E’ vero, invece, che è molto difficile garantire che venga coltivato in modo sostenibile. Se non altro perché arriva da paesi dove le norme di tutela ambientale sono scarse, e dove deve competere per la terra con quelle foreste che sono il polmone del pianeta. Ma anche qui non esiste una soluzione semplice: l’olio di palma ha molti difetti, ma la pianta ha il pregio di essere molto produttiva, e in quanto a rapporto tra produzione e terra impiegata è quasi imbattibile, come spiega questo bell’articolo su Ensia. Dovessimo sostituirlo tutto con olio di cocco o di colza, per esempio, finiremmo per usare ancora più terra, anche se in altre parti del mondo.
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