E’ chiaro ormai a tutti i genitori che far praticare uno sport ai propri figli è necessario per una crescita armoniosa. No, quindi, ai troppi giochi davanti al computer e alla tv e sì al movimento e alle discipline sportive per i ragazzi. Ma quali? Gli esperti dell’ospedale Bambino Gesù vengono in soccorso con alcuni consigli.
Nei primi 4-5 anni di vita l’attività sportiva deve favorire la conoscenza del proprio corpo nello spazio. Il nuoto è uno sport completo, che è bene praticare fin da piccoli poiché per il bambino l’acqua è l’ambiente più congeniale. Non per niente, secondo il Rapporto Istat “La pratica sportiva in Italia. Anno 2015” pubblicato ieri, il nuoto è lo sport più diffuso tra i bambini fino a 10 anni (43,1%), Oltre a questo, fino ai 7-8 anni sono consigliabili attività individuali quali atletica leggera (marcia, corse, salti, lanci) o ginnastica che aiutano a migliorare la coordinazione neuromotoria.
In seguito si può passare a sport più specialistici e di squadra. Le discipline sportive collettive – calcio, pallavolo, pallacanestro, pallanuoto, rugby, pallamano e hockey – piacciono ai bambini sopra i 7 anni poiché all’ impegno atletico si somma il gioco e lo spirito di squadra. Collaborare tutti assieme per raggiungere il risultato, è un messaggio che viene codificato proprio a partire da questa fascia di età. E il calcio rimane lo sport preferito dagli under 35 (33,6%).
Oltre i 9-10 anni ci si può accostare a discipline più specializzate, che richiedono anche il contemporaneo utilizzo di un attrezzo, come avviene nella scherma, nel tennis e nel tiro con l’arco. Nel caso di sport che sollecitino in modo particolare la schiena, come la danza e la ginnastica artistica, è utile abbinare una pratica in grado di “compensare” gli eventuali squilibri di postura.
In ogni caso è fondamentale la certificazione medico-sportiva. La normativa nazionale, integrata da regolamenti regionali, oltre al medico dello sport, assegna anche al pediatra di famiglia e al medico di base il compito di rilasciare il certificato non agonistico. E’ invece compito esclusivo del medico dello sport rilasciare la certificazione agonistica. Perseguire uno stile di vita corretto attraverso l’attività sportiva è considerato un obiettivo così importante che nei recenti LEA (livelli essenziali di assistenza) appena approvati dal Ministero della Salute, è codificato come punto qualificante. In numerose Regioni tutti i test a pagamento previsti per il rilascio della certificazione agonistica sono esenti dal ticket fino ai 18 anni. Il certificato rilasciato ha validità massima di un anno.
Lo sport fa bene davvero a tutti. L’80 per cento dei malati cronici può, con le opportune precauzioni, praticare attività fisica che diventa anche parte del programma terapeutico.
All’Ospedale Bambino Gesù è attiva una struttura di Medicina dello Sport dedicata alla valutazione funzionale e alla certificazione medico-sportiva di piccoli pazienti affetti da varie patologie croniche come cardiopatie congenite operate e non operate, malattie oncologiche, renali, polmonari o neuromuscolari. «Non c’è uno sport specifico da consigliare ad un bambino affetto da malattia cronica – spiega Attilio Turchetta, responsabile di Medicina dello Sport al Bambino Gesù -. E’ opportuno seguire le inclinazioni e le aspirazioni del bambino ed evitare quelle che possono essere le attività pericolose in rapporto alla malattia. Per esempio: un bambino portatore di pace-maker dovrà evitare gli sport di contatto come tuffi, arti marziali, rugby, così da non rischiare eventuali traumi sul dispositivo. Potrà invece praticare in sicurezza il tennis, sport nel quale gli atleti sono separati da una rete e non si prevedono contatti fisici».
Presso la Medicina dello Sport, oltre ai compiti istituzionali di valutazione funzionale cardiorespiratoria di bambini sani e malati (9000 pazienti all’anno), vengono visitati, e regolarmente certificati, ogni anno, oltre 400 bambini, adolescenti e giovani adulti affetti da malattie croniche.
Lo sport è un alleato importante anche nel vincere la partita della disabilità. Le discipline sportive per i disabili vanno sempre più moltiplicandosi: basket, sitting volley, curling, vela, calcio per i ciechi. L’attività sportiva aumenta l’autostima e la fiducia in se stessi dei ragazzi e aiuta ad uscire dall’isolamento. Sono molte le associazioni che possono aiutare le famiglie ad orientarsi sul territorio e vale la pena andarle a cercare.
A volte i genitori sono preoccupati che l’impegno nelle attività sportive vada a discapito del buon rendimento scolastico, specialmente in età adolescenziale. Se è vero che l’attività agonistica, praticata a certi livelli, richiede allenamenti costanti e lunghi campionati, è anche vero che i ragazzi che la praticano incrementano la capacità di coordinare studio ed attività extrascolastiche imparando a costruire programmi e a rispettarli e accrescono, attraverso lo sport, l’abitudine a rispettare regole e avversari come pure a gestire le frustrazioni di sconfitte o mancate convocazioni.
Il binomio sport e scuola può quindi essere una carta vincente. Praticare sport nella scuola di appartenenza, sul modello anglosassone, con risultati sportivi che si integrano con quelli scolastici permetterebbe a molti giovani di evitare l’abbandono sportivo, fenomeno che si verifica intorno ai 14/16 anni. La pratica dello sport è, infatti, massima tra i ragazzi di 11-14 anni (70,3%, di cui 61% in modo continuativo e 9,3% in modo saltuario) e tende a decrescere con l’età. Circa l’80% dei ragazzi pratica sport in età prepuberale e di questi il 20% dei maschi e il 40% delle ragazze interrompe la pratica dello sport. Spesso in questo abbandono concorrono, oltre agli impegni scolastici, la difficoltà e i costi per raggiungere il luogo dove si pratica sport.
Creare e mantenere nei giovani una mentalità in cui l’esercizio fisico abbia un ruolo primario è un investimento per il futuro. L’abitudine al fumo, per esempio, è molto ridotta negli adolescenti sportivi rispetto ai sedentari. Praticare sport, inoltre, permette di conoscere e contattare persone in carne e ossa e non virtuali e mette sicuramente un limite all’uso patologico dei social.
Leave a Comment