Mi capita di ricevere in ambulatorio genitori allarmati per i loro figli che dichiarano di non sapere chi siano, a che sesso appartengono e cosa vogliono essere.
Per il pediatra la risposta potrebbe essere apparentemente molto semplice, conoscendo il paziente fin dalla nascita : il sesso biologico del bambino, gli atteggiamenti durante la crescita, la preferenza dei giochi, l’accettazione o meno dello sviluppo puberale.
Ma l’essere maschio o femmina non è un dato oggettivo e reale ma una questione d’identità di genere, cioè la percezione di sè in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso.
L’adolescenza rappresenta sicuramente l’età in cui questa problematica esplode. Se immaginiamo il genere come uno spettro ci puo’ essere piu’ facile comprendere come non esistano solo il genere femminile ed il genere maschile ma uno spettro continuo tra questi due generi.
Ed è con questa lente con cui dobbiamo guardare i giovani. Il genderfluid è un’identità molto frequente tra i giovani, cioè riconoscersi in un genere o nell’altro in certi periodi della vita o non riconoscersi in alcun genere.
A volte sono atteggiamenti di rottura con la generazione precedente, a volte tendenze del momento legate ad idoli appartenenti al mondo artistico e possono avere un andamento transitorio, spesso invece è un disagio che è tanto più forte quanto più in contrasto col contesto sociale e culturale con cui la propria condizione deve fare i conti.
Il compito del pediatra è intercettare questo disagio. Indirizzare le famiglie alla comprensione, indirizzare il giovane ad un ritardo puberale per poter esplorare in modo più sereno la propria identità e maturare una decisione rispetto alle identità future. Sicuramente non bisogna alimentari i dubbi che il problema sia stato un errore nell’educazione dei figli con possibili conseguenze sul rapporto della coppia genitoriale, che sia qualcosa che si possa coreggere con la psicoterapia o addirittura con farmaci
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